La sede del Centro Dorso
Il Centro di Ricerca Guido Dorso ha completato nell’estate del 2023 il trasferimento dalla precedente sede, ubicata al Palazzo V. Hugo in piazza XXIII Novembre, ai nuovi locali messi a disposizione dal Comune di Avellino presso il Casino del principe, conosciuto come “Casina del Principe” nel gergo comune, un palazzo situato in Corso Umberto I, nel centro storico di Avellino.
Residenza nobiliare in stile rinascimentale commissionata da uno dei principi della dinastia Caracciolo, Camillo, nel 1591, la Casina del Principe costituiva l’accesso al parco attiguo al castello.
Fu fatto edificare intorno alla metà del 1700 da Maria Antonia Carafa, moglie del principe di Avellino, Francesco Marino IV.
La struttura sorse proprio nei pressi della porta monumentale che segnava l’ingresso del giardino, la parte inferiore del grande parco che fu voluto dal principe Camillo Caracciolo. Il parco fu chiamato “Parco Donnico” dal principe Caracciolo.
Esso era la riserva di caccia del principe e fu ampliata, acquistando ettari di terra dai privati, diventando una delle “sette meraviglie del Regno di Napoli” (titolo che gli fu attribuito da Carlo Borbone durante una sua visita ad Avellino e che fu ospite alla corte dei Caracciolo per qualche giorno).
Il parco era talmente ampio che occupava tutta la zona dell’attuale Rione Parco (quartiere che sorse in epoca più moderna dove era situato, appunto, il parco del principe) fino ad arrivare nella zona della frazione di Picarelli.
Nel parco si trovavano animali come cervi, caprioli di Montemiletto e tanti altri.
C’erano anche dei giardini ricchi di tulipani, narcisi, anemoni e tante altre tipologie di fiori e piante, anche esotiche, che all’epoca erano sconosciute nel Regno e in gran parte d’Italia. Il parco era famoso per le fontane e i giochi d’acqua, per la cui realizzazione venne chiamato un ingegnere idraulico di origini fiorentine, Antonio Nigrone. La Casina, infatti, fu un luogo di svago per il Principe e per i suoi concittadini.
Dopo i lavori di restauro fatti alla Casina, fu scoperto nei sotterranei un ipogeo che risulta, secondo varie ricerche ed ipotesi, avere una datazione ancora più antica della Casina stessa. Si ipotizza che fu realizzato durante i lavori di restauro del castello, dopo che questo fu devastato dai soldati spagnoli nel 1528 e per il matrimonio della contessa di Avellino Maria de Cardona con Francesco d’Este, figlio del Duca Alfonso I d’Este e di Lucrezia Borgia, nel 1539.
Dell’ipogeo si possono ammirare: elementi decorativi emergenti su un piccolo specchio di acqua, una fontana a parete dal classico stile cinquecentesco con due figure statuarie (una maschile e una femminile), decorazioni con spugne marine e conchiglie e un germaul.
Successivamente ai lavori di restauro, i locali che un tempo erano adibiti a “botteghe” hanno ospitato una sala degustazione e sono ancora oggi location di appuntamenti ed eventi d’arte e di musica, cogliendo l’antico invito dei Caracciolo, che fecero di questo luogo un crocevia di arte e cultura capace di conservare la sua natura “essenziale” come si evince dall’architettura del complesso.
A copertura degli ambienti del piano terra, originariamente destinati ai cavalli, le scuderie, ed in quelli del piano superiore, riservato ai signori, si ritrovano dei tronchi, testimoni del carattere essenziale della Casina, il cui tono era in parte nell’equilibrio delle forme architettoniche, lievemente superiore all’ordinario, ma soprattutto era nell’uso che il principe ne faceva, cioè nella frequentazione di caccia e diporto, più che in un impianto costruttivamente sofisticato.
Agli inizi del Settecento si perse ogni traccia del famoso parco. Nel 1761 la Casina fu convertita in una locanda per viaggiatori, fino al 1806, quando Filippo De Conciliis l’acquistò. Ci fu un grande cambiamento della struttura, che diventò un albergo e prese il nome di “Grande Albergo Mobiliato al Casino del Principe”, con cucine, stalle e 17 stanze al piano superiore di cui 13 fronte strada, e la nascita del primo Caffè della città. Dopo questa lunga attività, passò un periodo in cui venne adibita ad un utilizzo per abitazioni e officine meccaniche. Danneggiata dal terremoto del 23 novembre 1980, la Casina fu completamente ristrutturata dal Comune di Avellino, che successivamente ne acquisì la proprietà.
Da edificio di ingresso al parco annesso all’adiacente castello, a locanda, la morfologia attuale dell’edificio è con una corte a pianta quadrata, con aperture laterali che conducono ai piani superiori. All’interno della corte, in posizione prospettica rispetto al portale principale, è collocata una fonte abbeveratoio, che s’innalza su un basamento in pietra lavica. La fonte è realizzata in forma semicircolare con nicchione a conchiglia, di cui oggi è visibile solo la struttura sottostante in tufo e le due colonne bugnate con mascheroni in marmo. Il complesso della Casina è a due piani a forma di C, e racchiude un cortile; ad esso è affiancato un edificio ex fienile posto al di là di un piccolo appezzamento di terreno come un giardinetto.
La facciata è in intonaco tinteggiato a calce, caratterizzata per la presenza di portali in pietra di tipo locale, delimitanti le aperture a piano terra. Il livello superiore è segnato da una fascia marcapiano in corrispondenza dei balconi aggettanti in pietra e cornici in stucco delimitanti le aperture, finestre e balconi del piano superiore. Gli infissi sono in legno così come i portoni di accesso dei locali a piano terra.
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